I MATTINI PASSANO CHIARI
Poesie di Cesare Pavese – Musiche di Beppe Giampà
Beppe Giampà: Voce, Chitarra Acustica e Kazoo
Federico De Martino: Pianoforte e Basso
Manuel Daniele: Chitarre e Programmazione Percussioni
Arrangiamenti: Manuel Daniele, Beppe Giampà
Registrato e mixato presso Fonderiefoniche da Manuel Daniele
Disegni di copertina e libretto: Lorenzo Omedè
Foto interne: Marco Costantini
Progetto Grafico: Lorenzo Omedè
Album dedicato alla poesia di Cesare Pavese. Le poesie contenute appartengono a due raccolte: “La terra e la morte” (Roma,1945) pubblicate per la prima volta sulla rivista “Le tre Venezie” e “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” (Torino, 1950) liriche ritrovate fortuitamente tra le sue carte dopo la morte, nell’ordine in cui sono state pubblicate. Poesie d’amore permeate di una struggente nostalgia, scritte con uno stile insolito per Pavese, dedicate all’attrice americana Constance Dowling, il suo ultimo amore, conosciuto alla fine del 1949, dalla quale fu superficialmente abbandonato e lasciato in completo sconforto. L’album è stato presentato in collaborazione con la Fondazione Cesare Pavese di Santo Stefano Belbo (Cn) che ha offerto i propri spazi per presentare il progetto dal vivo.
Testi
I mattini passano chiari (30 Marzo 1950)
I mattini passano chiari
e deserti. Cosí i tuoi occhi
s’aprivano un tempo. Il mattino
trascorreva lento, era un gorgo
d’immobile luce. Taceva.
Tu viva tacevi; le cose
vivevano sotto i tuoi occhi
(non pena non febbre non ombra)
come un mare al mattino, chiaro.
Dove sei tu, luce, è il mattino.
Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest’ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su noi.
È buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.
Terra rossa terra nera (27 Ottobre 1945)
Terra rossa terra nera,
tu vieni dal mare,
dal verde riarso,
dove sono parole
antiche e fatica sanguigna
e gerani tra i sassi –
non sai quanto porti
di mare parole e fatica,
tu ricca come un ricordo,
come la brulla campagna,
tu dura e dolcissima
parola, antica per sangue
raccolto negli occhi;
giovane, come un frutto
che è ricordo e stagione –
il tuo fiato riposa
sotto il cielo d’agosto,
le olive del tuo sguardo
addolciscono il mare,
e tu vivi rivivi
senza stupire, certa
come la terra, buia
come la terra, frantoio
di stagioni e di sogni,
che alla luna si scopre
antichissimo, come
le mani di tua madre,
la conca del braciere.
Anche tu sei collina (30-31 Ottobre 1945)
Anche tu sei collina
e sentiero di sassi
e gioco nei canneti,
e conosci la vigna
che di notte tace.
Tu non dici parole.
C’è una terra che tace
e non e’ terra tua.
C’è un silenzio che dura
sulle piante e sui colli.
Ci son acque e campagne.
Sei un chiuso silenzio
che non cede, sei labbra
e occhi bui. Sei la vigna.
E’ una terra che attende
e non dice parola.
Sono passati giorni
sotto cieli ardenti.
Tu hai giocato alle nubi.
E’ una terra cattiva
la tua fronte lo sa.
Anche questo è la vigna.
Ritroverai le nubi
e il canneto, e le voci
come un’ombra di luna.
Ritroverai parole
oltre la vita breve
e notturna dei giochi,
oltre l’infanzia accesa.
Sarà dolce tacere.
Sei la terra e la vigna.
Un acceso silenzio
brucerà la campagna
come i falò la sera.
Verrà la morte avrà i tuoi occhi (22 Marzo 1950)
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
The night you slept (4 Aprile 1950)
Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange muta,
dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia –
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t’implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.
La notte soffre e anela l’alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c’è chi come te attende l’alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l’alba.
In the morning you always come back (20 Marzo 1950)
Lo spiraglio dell’alba
respira con la tua bocca
in fondo alle vie vuote.
Luce grigia i tuoi occhi,
dolci gocce dell’alba
sulle colline scure.
Il tuo passo e il tuo fiato
come il vento dell’alba
sommergono le case.
La città abbrividisce,
odorano le pietre
sei la vita, il risveglio.
Stella sperduta
nella luce dell’alba,
cigolio della brezza,
tepore, respiro
è finita la notte.
Sei la luce e il mattino.
Tu sei come una terra (29 Ottobre 1945)
Tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto.
Tu non attendi nulla
se non la parola
che sgorgherà dal fondo
come un frutto tra i rami.
C’è un vento che ti giunge.
Cose secche e rimorte
t’ingombrano e vanno nel vento.
Membra e parole antiche.
Tu tremi nell’estate.
To C. from C. (11 Marzo 1950)
You,
dappled smile
on frozen snows
wind of March,
ballet of boughs
sprung on the snow,
moaning and glowing
your little “ohs”
white-limbed doe,
gracious,
would I could know
yet
the gliding grace
of all your days,
the foam-like lace
of all your ways
to-morrow is frozen
down on the plain
you, dappled smile,
you, glowing laughter